Genitori uccisi a Ferrara, Andreoli: «Famiglia e scuola senza autorità sono percepite come un ostacolo»

FONTE: www.corriere.it

11 gennaio 2017 | Paolo Di Stefano

Vittorino Andreoli, perito nel processo a Maso: la morte è diventata banale.

Il caso di Pietro Maso, che con tre amici, a Montecchia di Corsara, uccise i genitori per motivi di eredità, risale al 1991. Con la strage di Novi Ligure, del 2001, il massacro di Verona torna fatalmente alla memoria ogni volta che avviene un parricidio e/o un matricidio. Lo psichiatra Vittorino Andreoli eseguì, per i pm, la perizia sul giovane Maso: da quell’esperienza uscì un libro.

Professor Andreoli, a quanto pare il delitto di Ferrara non avrebbe al centro un movente economico. Secondo lei, ci sono comunque delle analogie con il caso Maso?

«Il confronto è quasi obbligato per mettere in evidenza come si possa andare oltre. Allora l’omicida voleva eliminare l’ostacolo dei genitori che non concedevano al figlio il denaro per l’acquisto di un’automobile molto costosa. Lo scopo del delitto era accaparrarsi l’eredità di un miliardo e mezzo di lire. Qui si tratta di due adolescenti, più giovani di Maso, che hanno ucciso per motivi, a quanto si sa, ancora più futili: una questione di risultati scolastici... Come allora c’è stata una premeditazione, come allora è stato coinvolto un amico (là erano tre), come allora non si può parlare di atto automatico, ma di atto organizzato».

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Organizzato in modo ingenuo, se è vero che i due non sono riusciti a occultare le loro tracce e sono capitolati subito di fronte ai carabinieri.

«Nonostante la premeditazione, colpisce che l’arma del delitto sia un’ascia, inadeguata a uccidere, se non sei un professionista. Maso e i suoi amici usarono delle spranghe e persino una pentola. Il che dimostra come la voglia di ammazzare, oggi come allora, abbia il suo fondamento in una pulsione immediata: deve essere soddisfatta in qualunque modo e con qualunque mezzo, anche improvvisato. Direi che la premeditazione c’è ma è un po’ stupida, priva di una tecnica all’altezza sia prima sia durante sia dopo. E il fatto che sono stati promessi mille euro all’amico rende ancora più protagonista il figlio».

Dunque, per capire meglio, più che ai segnali esteriori bisogna ricorrere alle motivazioni interne?

«Infatti. Io ho lavorato parecchio sul fenomeno dei videogiochi, dove spesso la missione è quella di eliminare esseri fantastici oppure delle sagome umane. Basta cliccare e si abbatte una persona, e vince chi ne abbatte di più. L’effetto è immediato. Nel mondo virtuale, il concetto dell’ammazzare perde il senso della corporeità. Ma anche nella vita reale ciò che appartiene alla cultura, alla tradizione, al rituale e al tabù è venuto meno: mentre per le generazioni passate nel pensiero della morte agiva il peso della religione, con il demonio, la chiesa, eccetera, oggi con i defunti ci puoi giocare, come nella festa di Halloween. La morte è diventata banale, ha perso pathos».

Questo porterebbe addirittura a uccidere con leggerezza i propri genitori?

«Freud dice che tutti noi abbiamo pensato, almeno una volta nella vita, di uccidere qualcuno. Se non l’abbiamo fatto è perché sono intervenuti dei freni inibitori: il rispetto e la cultura della vita, il timore della legge e della punizione eccetera. Oggi stiamo andando verso una società pulsionale, priva di tabù in cui la famiglia viene vissuta come uno spazio privo di freni inibitori: il dramma, paradossale, è che ci permettiamo di essere più violenti con le persone che più ci amano. Anche perché la famiglia (come del resto la scuola) non suggerisce più un’idea di autorità, di rispetto, di educazione, di coesione. E anche in casa il senso della morte è scaduto, banalizzato, come se fosse una semplice malattia: un’equivalenza diseducativa».

Fatto sta che gli ostacoli posti dalla famiglia non sono ardui come per le generazioni precedenti.

«E però esistono. La famiglia è ancora oggi un luogo in cui vengono posti dei divieti senza però insegnare come affrontarli. I genitori proibiscono e basta, magari per paura o per iperprotezione. E così un adolescente si trova a dover superare gli ostacoli da solo».

I delitti più frequenti sono quelli commessi in famiglia. Ma perché sono più numerosi al Nord che al Sud?

«Al Sud la famiglia ha una maggiore tenuta di autorità, magari solo in modo formale, ma i legami affettivi tradizionali rimangono più forti».

Come giudica il movente?

«La scuola è sempre più fonte di conflitto familiare. Specie in situazioni, tutt’altro che rare, in cui c’è un’identificazione molto forte dei genitori con i figli: quasi che il voto basso fosse recepito come un giudizio negativo sulla capacità di essere padri e madri. Tutto ciò si traduce in un aumento della pressione e dell’ansia che compensano la difficoltà di far crescere i figli».