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Andreoli racconta la mente umana. L'Io ha sempre bisogno del Noi

Fonte: Corrire della Sera
27 dicembre 2018

Pubblichiamo la nuova prefazione dello psichiatra al primo volume delle sue opere, raccolte in una collana in edicola dal 28 dicembre con il "Corriere della Sera"

di Vittorino Andreoli

Il libro I segreti della mente, con cui apre questa collana, rappresenta una metamorfosi nella mia storia di psichiatra. Se fino al 2012 la mia attenzione e dedizione professionali erano rivolte al «malato di mente» (ai «miei matti»), da allora sento il fascino dell’uomo senza aggettivi. Non solo l’impegno a capirlo dentro la società, ma il bisogno di tracciare delle linee per poterlo meglio indirizzare a una esistenza più serena e più equilibrata.

Questo allargamento della visione non dimentica certo la follia, ma la considera una condizione che non ha nulla di fatale, un evento che proprio in questa nuova percezione è possibile evitare o quantomeno contenere.

Il termine «uomo» definisce una realtà, un «oggetto» che rimanda abitualmente al campo proprio della filosofia, intesa come disciplina teorica. Ma io credo che vi si debba aggiungere anche una dimensione molto concreta, centrata sui bisogni che ogni individuo esprime. I bisogni riportano al necessario, senza il quale l’uomo avverte l’impossibilità di vivere e arriva a immaginare la vita nella morte.

Non so concepire l’uomo se non come colui che ha bisogno di un altro uomo, e sono giunto a percepire la mia professione come uno strumento per aiutare a vivere, fondandomi sulle conoscenze scientifiche e sulla mia esperienza — maturata in tanti anni di studio e di clinica — della condizione umana, che comporta l’alternarsi di serenità e angoscia, gioia e disperazione, accettazione o rifiuto da parte degli altri uomini.

Credo sia possibile costruire una comunità in cui ciascun uomo possa considerare l’esistenza una esperienza straordinaria.

Non mi sono mai dedicato all’elaborazione di grandi teorie, non sono mai stato affascinato dalle correnti filosofiche o teologiche; mi sono sempre sentito, invece, coinvolto dai bisogni che avverto dentro di me e che percepisco nel profondo di ciascun uomo. Mi sono sempre dedicato con forza a operare, ad agire, per fare in modo che i bisogni dell’uomo possano essere soddisfatti; e sono affascinato anche dalle dinamiche che permettono di dare risposte a tali bisogni, sentendosi gratificati e non frustrati.

Non so come si possa cambiare una società, renderla più umana, ma so di certo che è possibile che un uomo, un singolo uomo, domani possa essere differente da oggi e guardare al mondo come a un giardino fiorito e non come a un deserto. Basta talora un incontro, il sentire di non essere soli perché abbandonati, il percepire che è entrata nella nostra vita una persona per la quale non solo esistiamo, ma siamo importanti.

Una relazione trasforma la vita. E non penso alle favole in cui si incontrano le fate o i grandi amori, ma ai rapporti di amicizia, persino a quelli di solidarietà. Non conto sui colpi di fortuna, ma su storie che partono da un sorriso, da un gesto d’aiuto, dalla consolazione, dalla speranza.

So che la mente dell’uomo può accendersi e orientarsi in un mondo che, anche se difficile, le offre qualche forma di riconoscimento. E allora si sente di appartenere al mondo. Ed è come percepire nel buio una luce che, sia pure tremula, diventa essenziale.

Non riesco, davanti al dolore, a elaborare semplicemente una teoria. Sento di dover fare qualcosa per alleviarlo, perché conosco la grandezza dei gesti che, talora, hanno allontanato il mio dolore.

Prima di irrigidirsi in patologia, la sofferenza lascia, nella nostra vita quotidiana, segnali, avvertimenti, a cui è importante porre attenzione, perché esprimono bisogni, in forma magari mascherata, che rischiano, più o meno intensamente, di evolvere e trasformarsi in sintomi.

Se l’insieme di più sintomi configura un disturbo della mente, un insieme di segnali definisce un disagio, una condizione che esprime lo sforzo di interagire con il mondo delle relazioni. La fatica di vivere avvertendo che i propri bisogni non sono, come si vorrebbe, soddisfatti.