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Strage di Samarate. Vittorino Andreoli: “È il senso di impotenza che ha spinto ad uccidere”

Strage di Samarate. Vittorino Andreoli: “È il senso di impotenza che ha spinto ad uccidere”

Fonte: www.agensir.it

10 maggio 2022 | Giovanna Pasqualin Traversa

Non è odio verso la famiglia o desiderio di vendetta, ma senso di impotenza e paura di non farcela quello che ha mosso la mano dell’architetto che alcuni giorni fa, in provincia di Varese, ha ucciso moglie e figlia e ferito gravemente il figlio tentando poi di uccidersi.
Ne è convinto lo psichiatra Vittorino Andreoli: “Qui non si tratta di violenza ma di distruttività innescata da un forte senso di inadeguatezza e impotenza”

È stato rinviato ancora una volta l’interrogatorio di Alessandro Maya, l’architetto arrestato per aver ucciso a martellate, mercoledì scorso a Samarate (Varese), la moglie Stefania e la figlia Giulia di 16 anni, e per aver gravemente ferito il figlio maggiore, Nicolò, di 23 anni. Mentre stiamo scrivendo Maya è ancora sedato e ricoverato in psichiatria nell’ospedale San Gerardo di Monza, ma trapela la notizia che dietro il tragico gesto dell’imprenditore potrebbero esserci investimenti sbagliati. “Ci sono due modalità per tentare di capire fenomeni come questo: guardare l’episodio in sé, la cronaca dell’evento e tentare di analizzare i singoli personaggi, oppure considerare il contesto in cui tutto ciò avviene, passando dall’analisi di un gruppo familiare all’analisi di una società all’interno della quale si muove quel gruppo familiare. Due piani diversi ma complementari, da tenere insieme per leggere in profondità quanto accaduto”, spiega al Sir Vittorino Andreoli, psichiatra e scrittore di fama internazionale, membro della New York Academy of Sciences e attento osservatore dell’uomo. Con lo sguardo profondo e la passione che gli sono propri, Andreoli analizza l’ennesima strage familiare inserendola nel contesto più ampio della distruttività innescata dal senso di impotenza all’interno di una società impoverita economicamente ma, soprattutto, in grave regressione di civiltà e spesso incapace di distinguere il bene dal male.

Professore, ancora sconosciuto il movente che ipotesi si sente di fare?
In assenza di interrogatorio mancano molti elementi, ma

sono convinto che qui non si tratti di violenza ma di distruttività.

La distruttività è anche violenza, ma la violenza ha uno scopo raggiunto il quale la sua carica si esaurisce, la distruttività invece non ha quale obiettivo il raggiungimento di una vendetta, né è un modo per farsi giustizia da sé. È semplicemente distruzione dell’altro e di se stessi. Una sorta di “muoia Sansone con tutti i filistei”. Il progetto di questo architetto, riuscitogli solo in parte, era uccidere i propri familiari e se stesso. Sono convinto, purtroppo, che se verrà lasciato solo finirà per suicidarsi.

La cronaca parla di un padre e marito che non ha precedenti di alcun tipo, descritto dai vicini come un uomo pacato e per bene… Qual è la molla che può avere scatenato questa furia distruttiva?

In questo caso non si tratta di odio, ma di impotenza e disperazione.

Si può, paradossalmente, arrivare a distruggere l’altro per amore e poi autodistruggersi. Quando uno si rende conto di non essere più capace di garantire la vita di prima alla moglie o ai figli, quando si sente impotente, incapace di modificare le situazioni, per non farli soffrire li uccide e si uccide. Subentra una sorta di visione della vita totalmente negativa secondo la quale è meglio distruggere tutto, anche la vita stessa. Una visione che può essere legata a motivazioni storiche esterne o ad una patologia delirante per la quale si crede di non essere capaci di vivere: “allora è meglio il nulla”.

Qual è il contesto generale in cui inquadrare questa vicenda?
Stiamo vivendo un momento di profonda e perdurante crisi: due anni di pandemia che ancora non accenna ad esaurirsi alla quale si è aggiunta una guerra che ha tutte le caratteristiche, se non di essere mondiale, di coinvolgere il mondo. Una situazione di recessione e di inflazione in cui tutti stiamo subendo una regressione economica. Il ricco non ne risente più di tanto, il povero è abituato a lottare per la sopravvivenza; a crollare è invece quella fascia di persone che scivola da uno stato di buona qualità di vita ad una condizione di povertà.

Un impoverimento che non siamo capaci di accettare perché è difficile rinunciare a cose alle quali si era abituati.

Da tempo non ci dovevamo più preoccupare dei bisogni primari sintetizzati da Darwin in alimentazione, casa, prosecuzione della specie, ma piuttosto di raggiungere il successo e l’affermazione sociale. Ora invece inizia per molti il salto dalla ricerca della qualità della vita – la sostituzione della macchina, dello smartphone, una vacanza – alla lotta per la sopravvivenza. Pensi a chi mantiene la propria famiglia con 2mila euro al mese: l’impennata del costo dell’energia, l’aumento dei prezzi, magari una malattia imprevista che richiede cure… ci vuole poco a rendersi conto di non poter più mantenere lo stile di vita precedente.

E questo è avvertito più crudamente in provincia dove l’apparire è importantissimo.

Crisi economica e senso di impotenza, un mix esplosivo che porta alla distruttività. Ma può bastare?
La nostra società è in regressione economica, ma è anzitutto in regressione di civiltà. I principi cardine dell’umanesimo si stanno sgretolando: il rispetto dell’altro, il senso della vita, la bellezza della vita anche nelle difficoltà. E a questo si aggiunge anche uno scadimento della dimensione religiosa. L’aspetto drammatico della nostra società non è la negazione del trascendente legata all’ateismo ottocentesco, bensì l’ignorare il tema religioso, il non porsi il problema di Dio, l’assoluta indifferenza verso la questione. Portando questo discorso all’estremo, in questo scadimento di civiltà capisce che uccidere diventa “ridicolo”?

Se la vita non ha senso e vedo qualcuno soffrire, perché non ucciderlo?

Così arriviamo anche all’eutanasia, cambiamo il nome ma la sostanza non cambia. Magari uccidiamo in modo educato, con buone maniere… ecco come si è ridotta la nostra civiltà! Ed è all’interno di questa civiltà che vanno collocati episodi come quello di Samarate. Del resto, se uno scatena una guerra insensata e poi a Pasqua va con una candela in mano a ringraziare Dio perché lo sta aiutando, dove è finita la civiltà?

Significa che abbiamo toccato il fondo e non sappiamo più distinguere il bene dal male.

Un’analisi, la sua, che si allarga a cerchi concentrici…
Il fatto di cronaca dal quale siamo partiti deve suscitare proprio questo. Dobbiamo aprire un orizzonte più ampio, che riguarda certamente questo dramma, ma limitarsi ad invocare sempre e solo l’odio dell’uomo contro la donna, l’immaturità e la fragilità del maschio rispetto all’evoluzione femminile senza mettere a fuoco il contesto più generale rischierebbe di portarci alla creazione del “mostro”. Io, che mi sono occupato dei casi più gravi degli ultimi anni, le assicuro che non ho mai trovato un mostro. Incontrando uomini e donne – o anche adolescenti – che avevano commesso azioni inaccettabili, ho sempre avuto la percezione che avrebbero potuto essere diversi, almeno un po’, se fossero stati amati.

La sera prima la figlia avrebbe raccontato, stupita, al nonno materno che il padre le aveva chiesto scusa senza specificare per che cosa...
“Scusa se non sono capace di aiutarti, se non ho più i soldi per farlo, temo di essere un padre inadeguato”. Probabilmente voleva dirle questo, scusarsi per la propria impotenza, per non essere riuscito a fare per la famiglia quello che avrebbe voluto. È un’ipotesi verosimile in questo quadro: inadeguatezza e impotenza che portano alla distruttività. E temo che di casi come questo ce ne saranno altri.

Che vita potrà avere il figlio superstite? E il padre?
La vita del primo sarà sempre segnata da questo avvenimento, avrà bisogno di essere molto seguito e sostenuto, dovrà elaborare e metabolizzare il dolore per trovare, come io spero, nuove vie. Quanto al padre, dovrei conoscere tutti i particolari della vicenda ma, come ho già detto, credo che tenterà il suicidio o impazzirà. Per lui la vita può diventare una condanna ma potrebbe anche riservare delle possibilità di cambiamento. Penso ad Erika (la sedicenne che nel 2001 uccise insieme al fidanzato Omar la madre e il fratellino a Novi Ligure, ndr), seguita a lungo da don Mazzi, oggi laureata e sposata. Don Mazzi riferisce non avere mai voluto parlare con lei di ciò che era successo, disse che lo fece su mio suggerimento perché gli avevo spiegato che risuscitando quel vissuto Erika si sarebbe potuta suicidare. Anche queste persone non vanno lasciate sole. Occorre sperare in una relazione positiva sia di tipo affettivo, sia di legame con il trascendente.

Lei insiste sempre sull’importanza del trascendente…
Nella profonda crisi esistenziale di oggi c’è bisogno di questo Padre Eterno! Ho sempre davanti Dino Buzzati che ad un certo punto disse: “Dio che non ci sei, io ti prego”. Paradossale, ma dice il bisogno di Dio. Come il premio Nobel Elie Wiesel, che nel romanzo “La notte” dedicato alla propria esperienza ad Auschwitz racconta tra i vari episodi l’impiccagione di fronte a tutti, per punizione, di un bambino insieme a due adulti. Mentre i due adulti muoiono subito, il bambino, più leggero, rimane appeso al cappio agonizzante per quasi mezz’ora. Una voce dice: “Dio dove sei?”, e Wiesel sente un’altra voce che risponde: “Dio è quel bambino”. Bisogna riportare Dio in mezzo a questa società!

Oggi più che mai è chiaro che l’uomo senza trascendenza non ce la fa a vivere: è la fine della civiltà e il ritorno alla barbarie.