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Recensione di Fare la pace di Vittorino Andreoli

Fonte: leggereacolori.com

3 novembre 2020 | Mariangela Pala

Con le parole possiamo edificare un dialogo costruttivo, capace di generare legami e confronti. Ma le parole possono anche ergersi come muri invalicabili. Da terra di scambi, il dialogo può così trasformarsi in fonte inesauribile d’incomprensioni e distruttività. In questo saggio, Vittorino Andreoli analizza alcune delle parole più utilizzate nella nostra società cercando di capire quali portino al conflitto e quali invece possano essere all’origine della crescita e della pace.

In questo momento in cui si vogliono segnare i confini, innalzare muri, è bene ricordare che la più caratteristica espressione dell’uomo, la sua mente e il suo cervello, non possono essere chiusi in enclave o dentro paradisi dell’economia.

Il potere delle parole è noto a tutti. Alcune frasi che ci sono state dette nel passato hanno continuato a risuonare nella nostra mente per anni. Nel bene e nel male. Sono bastate poche parole per farci soffrire ma allo stesso tempo è stato sufficiente l’accostamento di qualche termine ben scelto per renderci felici. Le parole costituiscono un mondo complesso e bellissimo. Ma sono anche uno strumento da utilizzare con il giusto dosaggio. Spesso invece vengono lanciate come coriandoli, senza badare alle conseguenze. Ed è a quel punto che si creano situazioni di conflitto e tensione. E che si tratti di una discussione tra genitori e figli o di un contrasto tra Stati le cose non variano più di tanto. In Fare la pace, Vittorino Andreoli ci ricorda infatti che alla base c’è la stessa dinamica psicologica: la medesima certezza di essere in possesso della verità. L’unica possibile. E allora chi abbiamo davanti non può che essere nel torto. Per questo è giusto prevaricarlo e tentare di metterlo a tacere con ogni mezzo. Le sue ragioni non c’interessano, sono sbagliate: perché ascoltarle?

Una volta arrivati a questo punto, è possibile fare un passo indietro? È possibile tentare di disinnescare il meccanismo? Forse sì. Andreoli tenta di farlo analizzando quei termini capaci di generare conflittualità. Superbia, esclusione, rancore, sospettosità… Sono queste alcune delle parole più pericolose perché trasformano chi abbiamo davanti in un nemico, un avversario da combattere. Parole che fanno emergere i nostri lati peggiori, rendendoci cechi e sordi ad ogni ragione che non sia la nostra. Ma a questi termini è possibile contrapporne altri come umiltà, cooperazione, perdono, fiducia. Ed ecco allora che tutto appare sotto una luce diversa. L’altro, che sia il padre o la Nazione confinante, non è più l’essere oscuro e impenetrabile che si erge minaccioso davanti a noi. L’altro è uguale a noi, pur nella sua diversità. Con l’altro possiamo dialogare e confrontarci. L’altro ci può aiutare a crescere e a migliorare noi stessi.

È un cammino difficile che richiede pazienza. Perché, come ci ricorda l’autore, la Pace va costruita. Non si trova già confezionata. E per riuscirci è necessario ignorare il canto ammaliatore della discordia e della prevaricazione. Dimenticato dunque il noto moto latino Si vis pacem, para bellum, dobbiamo convincerci che se veramente vogliamo la Pace allora dobbiamo essere pronti a mettere da parte ogni potenziale fonte di conflitto. Perché la Pace (quella vera), nonostante ciò che pensavano i latini, raramente si costruisce con la guerra.

Approfondimento

Con la parola “pace” non è mai facile rapportarsi. La diamo spesso per scontata. A volte ci capita addirittura di dimenticare il numero sconfinato di guerre che si sono susseguite nel mondo dal 1945 ad oggi. Come se davvero dopo Hiroshima e Nagasaki la Terra non fosse più stata teatro di nessun conflitto. Sappiamo bene che non è così. Ma anche senza mettere in campo armi nucleari ed eserciti, la guerra accompagna la nostra quotidianità. È sufficiente accendere la televisione per vedere uomini e donne impegnati in accesissimi alterchi. E non importa quale sia l’argomento al centro della contesa: l’importante è discutere. Urlare. Far valere la propria voce. Li chiamano “opinionisti”. Sono pagati per portare avanti le proprie opinioni. La propria visione del mondo e dei fatti. Soldati di una nuova guerra combattuta a suon d’insulti e grida.

Vogliamo davvero tutto questo? Non siamo stanchi delle continue polemiche? Non sarebbe arrivato il momento di abbassare i toni, dando più spazio ai contenuti? Il saggio Fare la pace di Andreoli ci lascia con questi interrogativi, consegnandoci solo alcune risposte. Ed è forse proprio la mancanza di uno sguardo più profondo a far difetto. Si ha la sensazione di una visione un po’ superficiale, incapace di provare a penetrare l’argomento fino in fondo. Resta quindi nelle nostre mani il compito (o forse il dovere) di interrogarci sulla quantità di Pace che ognuno di noi, nel suo piccolo, è disposto a costruire.

Mentre scrivo, appare nella mia mente un’immagine nitidissima: una piccola me che indossa un grembiule nero con un fiocco bianco. Davanti a quella mia versione miniaturizzata c’è un bambino di circa sette anni vestito nello stesso modo (però sul suo grembiule ci sono delle piccole automobili ricamate). Il bambino, Luca, mi guarda e mi chiede: “Facciamo pace?”. Non ricordo quale fosse stato il motivo del breve litigio. Ma in quel suo venire da me, mettendo da parte ogni attrito, credo si celi il senso più vero del saggio di Andreoli. Allora forse, ancora una volta, per migliorare noi stessi non dovremmo far altro che prendere esempio da quelle meravigliose piccole creature che sono i bambini. Anche da quelli che ancora si nascondono dentro di noi.