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Disagio mentale : cosa è, come si mostra

Fonte: centroascoltopsicologico.it

16 agosto 2019

Disagio mentale non solo è un termine abusato, ma anche scarsamente compreso e per lo più frainteso. Vittorino Andreoli riesce con la semplicità del suo linguaggio frutto di una umanissima esperienza professionale, a tirare fuori questo termine da sterili tecnicismi per riconsegnarlo alle persone comuni e alla loro esperienza. Vittorino Andreoli, I segreti della mente, Rizzoli

Il termine disagio è divenuto di uso comune negli ultimi anni e ha corso il rischio di perdere il suo significato specifico per assumere, invece, connotazioni generiche. Nel nostro intento, il disagio designa una precisa condizione della mente in cui si manifestano vissuti di frustrazione; da qui si innesca il processo che può portare alla patologia. Il disagio è la prima tappa di questo percorso, il segnale di un mal d’essere, di un non soddisfacente inserimento nell’ambiente. Se, parafrasando Darwin, il raggiungimento della fitness si concretizza nell’agio, uno stato di sintonia con il mondo, il disagio esprime una condizione e un vissuto opposti. Nel nostro tentativo di adattarci al mondo, affrontiamo spesso situazioni transitorie e problematiche, poiché l’ambiente muta continuamente e in certi periodi l’accelerazione del cambiamento sembra addirittura iperbolica. Non solo, anche l’io è soggetto a trasformazioni importanti, al variare dell’età, delle nostre esperienze e del modo in cui le percepiamo. Pensiamo ai sentimenti, agli umori o all’inquietudine che non è sollecitata da stimoli esterni, ma anzi si proietta sull’ambiente; anche l’io è un mondo, al punto che sarebbe utile distinguere tra «mondo fuori di me» e «mondo dentro di me». A questa seconda dimensione appartiene l’immaginazione, un motore che produce universi senza una dimensione concreta, ma capaci di incidere in profondità sul nostro stato d’animo. L’immaginazione crea paura, felicità, dubbi. È sempre dal «mondo dentro di me» che scaturiscono i sogni. L’attività onirica, che certo risente anche delle esperienze concrete, mostra in primo luogo il grande potere dell’immaginazione: il sogno può essere fonte di agio, di ben d’essere, ma è talvolta anche causa di disagio. Spesso per definire questi cambiamenti repentini si parla di umore. Si tratta di un concetto introdotto da Ippocrate, grande personaggio della medicina greca che aveva teorizzato l’esistenza di quattro elementi fondamentali alla base dell’organismo umano: bile gialla, bile nera, sangue e flemma sono secondo Ippocrate i quattro «umori» che si mescolano nel corpo umano determinando, nelle loro diverse combinazioni, le varie forme del nostro sentire e dell’agire. Già questa teoria, quindi, prendeva atto della continua trasformazione della natura umana.

disagio 3Seguendo Darwin, sappiamo che l’individuo si confronta di continuo con un ambiente a cui deve adattarsi. Questo adattamento richiede continui aggiustamenti e, a fasi alterne, a uno stato di agio potrà quindi seguirne uno di dis-agio, dove il prefisso dis- sta a indicare che qualcosa non va, analogamente a termini come dis-grazia o dis-piacere che sottolineano la perdita di una condizione positiva. Quando prova disagio, l’io tenta di modificare la sua relazione con il mondo esterno; non si è infatti ancora attivato quel meccanismo di blocco, di rifiuto, di fuga tipico del vero e proprio disturbo. Dobbiamo imparare a leggere il disagio quale prima fase del percorso che può condurre al sintomo, e da questo a un insieme di sintomi (o cluster), fino al disturbo di mente. La sequenza è dunque agio, disagio, sintomo, malattia. Questa prima fase, lo abbiamo accennato, può nascere da cambiamenti del mondo esterno, ma anche da trasformazioni nel nostro mondo interiore, che filtra e trasforma il mondo esterno attraverso la memoria, il vissuto, la singola personalità. La memoria non è una cronaca, il deposito immobile di eventi oggettivamente esperiti. Memorizzare significa anche modificare i dati, personalizzarli attraverso un’elaborazione del tutto soggettiva. Basta confrontare il racconto di due persone presenti a un medesimo evento: talvolta si ha la sensazione che vengano descritti due episodi differenti. Ogni dato è insomma rielaborato, anche alla luce di quanto si è esperito nel passato; senza che se ne abbia consapevolezza, si associa un evento recente a fatti avvenuti anche molti anni prima, ma capaci di rievocare sensazioni simili. In questo modo un avvenimento attuale si carica di sentimenti, emozioni, vissuti collegati a eventi passati.

La distinzione tra mondo esterno e mondo interno comincia dunque a complicarsi: un’embricatura di cui non è facile vedere in controluce le tracce e gli innesti. «I ricordi, queste ombre troppo lunghe / del nostro breve corpo, / questo strascico di morte / che noi lasciamo vivendo» ha scritto Vincenzo Cardarelli. Il richiamo alla morte è particolarmente suggestivo, poiché sottolinea come anche ciò che si consuma nel presente rimane impresso nel nostro vissuto, e lo fa assumendo delle sembianze particolari, dei contorni sfuocati, frastagliati, eppure con una sagoma precisa. Il vissuto, quell’ombra. Dopo aver chiarito che il mondo interno risente di quello esterno, che filtra attraverso una lettura personale, credo sia utile distinguere i disagi del corpo dai disagi della mente. Appartiene certamente al primo gruppo il dolore fisico, che può produrre anche uno stato di mal d’essere psicologico, coinvolgendo i pensieri e gli affetti. Tuttavia, in questo caso, l’origine del disagio è fisica: un crampo, una frattura, uno stiramento muscolare; e anche il freddo, la fame, una zoppia che limita la mobilità.

disagioEsistono, invece, altri disagi che hanno un’origine prevalentemente mentale. Mi riferisco alla paura indefinita, la cosiddetta paura senza oggetto, che provoca in chi la sperimenta l’incapacità di prendere decisioni, di agire sul mondo esterno. La paura senza oggetto, che si fa panico, è frutto dell’immaginazione e proviene dal «mondo dentro di me», ma si esercita sull’ambiente esterno ridisegnandolo completamente. A questa distinzione va aggiunto un terzo elemento, che riguarda la sopportazione della frustrazione. Ciascuno di noi ha un suo livello di sopportazione, superato il quale un’esperienza diventa intollerabile. La misura di questo limite personale dipende da ciò che ognuno, soggettivamente, sperimenta dentro di sé, dunque da una sensibilità che varia da individuo a individuo. Oltre che dalla sensibilità, questa grandezza è determinata anche dalla capacità di elaborare, cioè di interpretare un evento in una cornice di senso più ampia, attribuendogli un valore piuttosto che un altro. Così il medesimo accadimento potrà essere valutato come una prova a cui rispondere, o una sconfitta già segnata. Un sorriso sarà letto come prova di solidarietà, o invece come gesto di scherno. Penso inoltre alla «provvida sventura», alle cornici religiose entro cui episodi di grande disagio immediato vengono interpretati come prove dagli effetti straordinari, utili magari per la vita eterna.

Per analizzare il disagio della mente, bisogna quindi considerare la variabile della sensibilità, da cui dipendono il vissuto soggettivo e l’interpretazione, benevola o malevola, di quanto accade. Il termine sensibilità semanticamente riporta ai cinque sensi: una lesione a un nervo dolorifico può in effetti mutare la percezione di uno stimolo, cancellandola o aumentandola d’intensità; analogamente un quadro mentale come l’isteria, su cui torneremo più avanti, si esprime con un’indifferenza al mondo esterno tale, da annullare la percezione del dolore. Ovviamente anche i sentimenti sono influenzati dall’interpretazione del pensiero. Ci sono soggetti in cui la componente soggettiva di lettura degli eventi predomina, e altri che sono più legati al senso concreto, fattuale delle cose. Insomma, la sensibilità alle frustrazioni è soggettiva e questo influisce in maniera molto forte sullo sviluppo di una condizione di disagio. Sono argomentazioni, queste, che sottolineano con ancora maggior forza come sia sempre l’individuo il metro con cui misurare l’agio o il disagio. Dunque, è assumendo il punto di vista del singolo che sarà possibile comprendere l’origine del disagio e individuare possibili soluzioni.