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Da mezzo a fine: la parabola del denaro diventato un “dittatore”

Fonte: veronafedele.it

31 gennaio 2024 | Silvia Allegri

Sono passati circa 2.400 anni da quando Aristotele, filosofo e scienziato greco, sottolineava la distinzione tra ciò che è “naturale”, ossia necessario a soddisfare i bisogni primari, e ciò che è invece “non naturale”.

In quest’ultima categoria entra la ricchezza, rappresentata simbolicamente dal denaro, uno strumento che oramai sembra avere come obiettivo non quello di risolvere i problemi dell’uomo, bensì quello di crearli. Vittorino Andreoli, studioso del cervello e psichiatra di fama internazionale, torna in libreria all’inizio di questo nuovo anno con il saggio La dittatura del denaro. Contro le menzogne dell’economia (Solferino, 2024). E ci accompagna a riflettere su un tema cruciale del nostro tempo: quanto ci ha influenzato, e spesso rovinato, il culto del dio-denaro? Soprattutto, esiste una via di uscita? Per lo psichiatra veronese una soluzione c’è: ecco allora la necessità di una “psico-economia” del bene, aperta a campi come quelli della fragilità dei sentimenti e delle relazioni, e ai valori che sono alla base del vivere comune.

– Professore, lei ha citato all’inizio del suo libro un’affermazione dell’economista francese Serge Latouche: l’economia è una menzogna.
«Ci tengo a precisare subito che io non ho niente contro l’economia, e la rispetto, ma ritengo utile ricordare il significato originale della parola, come sottolineo nelle prime pagine. Economia deriva dal greco antico oikos (casa) e nomos (norma, legge), significa pertanto gestione della casa, amministrazione delle cose e delle attività domestiche. C’è dunque un chiaro riferimento alla famiglia, intesa (nell’espressione più semplice) come luogo in cui le persone vivono insieme. Il riferimento è dunque a una ben identificata realtà esistenziale, formata da esseri umani e il senso dell’economia non muta quando ci si riferisce, invece che a casa, a un villaggio, a una città, persino a una nazione, arrivando poi a entità più ampie, come l’Europa o la Terra intesa come unità: una casa allargata a tutti gli abitanti del pianeta, oltre otto miliardi. Si parla in questo caso di geo-economia. Non ho nulla nemmeno contro il denaro, che è stata un’invenzione straordinaria, nata per superare il baratto. Il denaro non ha rappresentato solo il valore dell’oggetto, ma è diventato un simbolo che ha permesso di pensare al futuro, proiettandosi nel domani, a differenza del baratto, profondamente radicato nel presente. Il problema, però, è un altro e io voglio far notare che il denaro è passato da mezzo a fine. Andando a rappresentare addirittura il valore dell’uomo. Come a dire: se una persona ha denaro, vale; se è intelligente, magari non vale. Ecco perché è necessario che il denaro torni a essere uno strumento. La dittatura c’è nel momento in cui basta una notizia relativa a un’azienda, o a una persona, per provocare ricadute immediate sull’economia. E come vede non abbiamo ancora parlato della finanza: quella è proprio un gioco d’azzardo».

– È sicuramente una sorpresa, per qualche lettore, leggere un suo saggio dedicato all’economia.
«Io guardo a questi fenomeni dal punto di vista di medico e di psichiatra, e ho il dovere e il diritto di occuparmene: la psichiatria deve occuparsi di società, e se un uomo mentalmente sano vive in una società di imbecilli, ci saranno inevitabilmente delle conseguenze sulla sua salute. Me ne occupo anche perché esistono le malattie da denaro. Serve dunque una nuova economia, che ponga come metro dell’esistenza il senso della vita, e serve un’etica che permetta di stare su questa Terra in pace e in serenità: due qualità che nulla o poco hanno a che fare con l’accumulo di denaro. Solo in questo modo, non immaginando aggiustamenti a questa economia che dà la ricchezza-potere agli uomini malati di egocentrismo e di paranoia, si potrà guarire dalla malattia sociale e individuale del denaro. Non sono certo il primo a dirlo. “È il denaro che fa la guerra”, scrive François Rabelais in Gargantua e Pantagruel. E nella prima lettera a Timoteo, Paolo ricorda che “coloro che vogliono arricchire cadono nella tentazione e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione: l’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali”».

– Lei invita al risparmio dei sentimenti. E non solo.
«Certo, serve un risparmio esistenziale. Parto dal risparmio dei sentimenti, che noi non teniamo nella giusta considerazione ogni volta che facciamo con le persone ciò che facciamo col denaro, ossia buttare via relazioni senza una vera ragione. Ma c’è anche il risparmio delle energie: che senso ha sottoporre il corpo a sforzi enormi, usandolo in maniera anomala? Penso per esempio alle malattie da alimentazione, per arrivare agli eroi del nulla, quelli che sfidano i pericoli senza alcuna ragione. Ha presente quei ragazzini che si sdraiano sulle rotaie per poi alzarsi all’ultimo momento? Penso anche all’importanza del risparmio delle parole, soprattutto quelle che non dicono niente. L’odio, poi, è un vero spreco: porta via spazio all’amore».

– Nel suo libro lei narra, anche in forma di dialogo, tante storie di persone, in una sezione che definisce la pars construens.
«Dopo aver affrontato una pars destruens, la pars construens del mio lavoro esprime il tentativo di delineare un’economia che guardi al comportamento umano rispondendo ai bisogni dell’esistenza e che, pur con forti variabili, si attenga ai principi propri della nostra specie. Vengono quindi inclusi i bisogni sia del corpo sia della mente, e quelli del funzionamento dell’intera società. L’equilibrio infatti riguarda non solo l’io, ma il noi».

– In queste pagine c’è anche il bellissimo dialogo tra un vecchio e un nipote. Che introduce al concetto di “minimalismo”.
«Parte proprio da qui, dalla scelta minimalista, quella piccola rivoluzione che potrebbe cambiare il corso degli eventi e soprattutto giovare alla salute. Tanti giovani non accettano di essere valutati con una cifra in denaro, e rifiutano il lavoro inteso come ricatto. Scelgono di non avere il posto fisso, magari, scelgono di interrompere gli studi, e si danno da fare per avere il denaro sufficiente per vivere bene. “Voglio fare anche cose che mi piacciono”, dicono. E riconoscono tanti altri valori oltre al denaro. Lo scopo delle nuove generazioni non è il salario ma il benessere: si potrebbe dire che il benessere lo sostituisce».

– Per sconfiggere la dittatura del denaro si deve quindi rivolgere l’attenzione al benessere. Anzi, lei parla di ben d’essere. E di psico-economia.
«L’osservazione di partenza è stata la distinzione tra “togliere il male”, la malattia, che è il compito storico della medicina, e il “promuovere il bene”, che diventa così il compito del ben d’essere. Non si tratta di una distinzione soltanto teorica, ma nel tempo presente corrisponde a un bisogno sempre più diffuso tra persone che si possono definire prive di malattia, ma che chiedono di poter vivere almeno “un poco meglio”. In questa ottica il denaro ritorna con un volto differente e nel limite di “mezzo” avrebbe un effetto benefico. Aiutando per esempio a promuovere la cultura e il grado di educazione degli individui, la generosità, intesa come relazione di scambio e di aiuto reciproco, la solidarietà. La nuova economia del bene, che potremmo definire “psicoeconomia”, dovrà occuparsi poi di promuovere il grande valore di due termini di alto significato umano: gioia e fragilità. Significa privilegiare la gioia e mettere in secondo piano la felicità, oggi osannata. La felicità fa riferimento al singolo, la gioia si rivolge al noi. Il termine fragilità si potrebbe definire analogo a gioia, anche se ha espressioni differenti. Le unisce la considerazione che ciò che accade a uno diventa percezione comune. E vi si aggiunge il fatto che tutti gli uomini sono fragili, ma questa caratteristica è al contempo la vera forza dell’umanesimo. La fragilità dell’uomo contiene il bisogno dell’altro. L’economia della fragilità sa di umano, quella del potere riporta ai mali della società, non al suo bene».